Un mattino presto, d’inizio settimana, una donna d’Israele si recava a una tomba, posta appena fuori dell’abitato cittadino.

Accadeva quasi duemila anni fa e l’episodio aveva come protagonista un personaggio poco conosciuto, proveniente da Magdala: una Maria comparsa nell’entourage di Gesù di Nazareth solo al termine della vita del Maestro scomparsa dalla scena storica (non dalla leggenda) subito dopo l’incontro con il Risorto.

Eppure essa domina gli avvenimenti della prima parte di un lungo racconto (i capitoli 20 21 del Quarto Vangelo), che si dipana concentrando l’attenzione su alcuni tipici protagonisti: dopo Maria nella vicenda intervengono Pietro, il «discepolo che Gesù amava», Tommaso; sullo sfondo restano altri dieci, fra i quali viene ricordato ancor Natanaele, assieme ai «figli di Zebedeo».

Dal buio di quel mattino, nel giardino vicino a Golgota, si passa al buio della sera, in una sala chiusa, nella scansione cronologica di un intera settimana, e poi all’alba che segue una notte passata sul lago per la pesca, fino a un tempo indefinito, che accoglie un discorso orientato anch’esso a un futuro senza chiari confini.

In duemila anni quelle pagine sono state lette innumerevoli volte, con l’attenzione ai più vari interessi e l’applicazione delle metodologie più disparate. Nessun evangelista ha dato, come Giovanni, tanta attenzione a quegli avveniment accaduti dopo la morte di Gesù, che noi usiamo chiamare le esperienze pasquali.

Nell’attenzione ad esse si avverte una evoluzione d’interesse: il Marco primitivo si concentra solo sulle esperienze al sepolcro, che sono ancora predominanti in Matteo e Luca (20,1-2), mentre Giovanni concede interesse prevalente alle «grandi» apparizioni di Gesù (vv. 3-10).

Ciononostante anche le esperienze al sepolcro per Giovanni ricoprono una varietà episodica notevole e svolgono una funzione inscindibile dal successivo sviluppo del racconto.