“Ci lasciamo toccare dall’amore di Cristo”

Riflessione dell’arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, mons. Roberto Repole,
in occasione della contemplazione straordinaria della Sindone riservata ai giovani partecipanti all’incontro europeo di Taizè a Torino
Duomo di Torino, 9 luglio 2022 
Sostiamo un istante in preghiera davanti al Telo sindonico e ci lasciamo toccare dall’amore di Cristo. Abbiamo questa sera la possibilità straordinaria di sostare davanti al Telo sindonico, che ci fa sporgere ancora una volta sulla Via Crucis percorsa da Gesù e sul Golgota nel quale, all’ora nona, il Signore ha trovato la morte per mano della violenza e della insipienza degli uomini. E abbiamo perciò stesso la possibilità di contemplare le piaghe di Cristo che ci comunicano salvezza, che ci donano vita piena e senza fine.
«Dalle sue piaghe siete stati guariti», dice l’apostolo. Davanti a questa misteriosa immagine, che ci rimette a contatto con il Cristo sofferente che ha donato la sua vita per noi, possiamo sperimentare, nel silenzio della preghiera, che le piaghe del Signore leniscono le nostre piaghe.
Siamo guariti nelle ferite che genera la nostra ricerca di amore quando è diretta nel modo sbagliato, là dove la nostra pace più profonda non può essere soddisfatta. Siamo guariti nella piaga rappresentata dalle nostre paure: quella della guerra, che ci può far credere che il destino della nostra esistenza sia totalmente nelle mani della violenza e della stupidità degli uomini; la paura del futuro, quando ci appare come minaccia, e non come qualcosa di atteso; le mille paure che si generano ogni giorno nel cuore di ognuno. Le piaghe di Cristo ci garantiscono che siamo amati da un amore assoluto e che Cristo, solo Lui, è il Signore del tempo e della storia, del presente e del futuro, Lui e solo Lui è il Signore del nostro stesso cuore ed è più grande persino dei nostri sentimenti.
E veniamo guariti, infine, nella ferita del non senso, che troppo spesso ci viene instillata dalla cultura dominante, quando non è più appassionata della verità e della ricerca di ciò per cui può valere la pena spendere l’esistenza. Le piaghe di Cristo ci assicurano che la nostra vita non è vuota perché siamo in cammino verso di Lui e il dono di sé continua a dare gusto ad ogni nostro passo.
Sostando davanti alla Sindone, siamo anche rilanciati – nel silenzio della preghiera – alla vita risorta che ci è aperta per Cristo e che ci è stata e ci viene continuamente comunicata. Siamo con Lui, apparteniamo a Lui e nessuno ci può staccare dalla sua luce. Guardiamo il suo Volto e sentiamo di essere nella pace, lui abita la profondità del nostro cuore e noi abitiamo in Lui e, qualunque cosa accada, niente e nessuno ci può togliere la serenità profonda che ci viene dal sapere di non essere soli e di respirare il respiro di Colui che ci ama.

Il mistero del male e la nostra speranza

Intervento dell’arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, mons. Roberto Repole, 
alla conferenza stampa di presentazione dell’incontro mondiale di Taizè a Torino Torino, Sala Rossa del Comune, 7 luglio 2022 
[Testo trascritto dalla registrazione audio]  
Esprimo anch’io anzitutto un vivo senso di gratitudine ai fratelli e alla comunità di Taizè e agli altri  fratelli cristiani. Penso che sia davvero molto bello e significativo che ci troviamo a fare un itinerario insieme.  Perché le divisioni delle Chiese sono una smentita in atto di ciò che è la Chiesa. E, se abbiamo una  responsabilità oggi, è proprio quella, invece, di contribuire alla pace e all’unificazione dell’umanità tanto più  in un tempo come quello che stiamo vivendo, di cui già si diceva. Ringrazio don Luca Ramello e tutta la  pastorale giovanile. E anche io un grazie del tutto particolare lo devo a monsignor Cesare Nosiglia, che ha  organizzato e ha curato davvero la possibilità che si arrivasse qui, nonostante tutto, e che è stato il mio  vescovo per tanti anni, quindi abbiamo un legame non soltanto di successione ma particolare. E un grazie  alle istituzioni, per tutto il sostegno e la collaborazione che vengono dati e che sono stati dati in questi anni  e in questi mesi.
Spendo due parole proprio sulla contemplazione della Sindone che avverrà sabato 9 luglio. Perché  penso e mi auguro – questo è il mio auspicio – che sia un’occasione per i giovani che sosterranno in preghiera  davanti a quel Telo di essere provocati in tre direzioni, che oggi mi paiono importanti.
La prima direzione è di rimettersi a contatto, potremmo dire, con qualcosa che richiama il Gesù della  storia, che in qualche modo rappresenta e continua a rappresentare un appello per tutti. Perché quel Telo è  molto significativo per noi cristiani? Perché ci sono delle analogie fortissime tra i racconti evangelici, tra ciò  che c’è scritto nelle Scritture, e ciò che scritto è in quel Telo. Rimandano alla testimonianza di una vicenda. E  penso che oggi per dei giovani – anche dei giovani europei in un’Europa che è stata cristiana ma che rischia  di cristianizzarsi in maniera velocissima e vorticosa – il sostare davanti a quel Telo possa rappresentare  un’opportunità per sapere che ci sono delle testimonianze che ci parlano di Gesù. Poi, di fronte a quel Gesù, si dovrà scegliere, ma rimane un appello. Mi colpisce molto che oggi, anche nelle nostre scuole, in nome di  una sedicente cultura – che invece secondo me è un’ignoranza -si voglia qualche volta lasciar perdere la figura  di Gesù e tutto ciò che ne è derivato, come se fosse un sottoprodotto della cultura. Non è così. Quindi mi  pare che un primo auspicio che possiamo avere è quello che i giovani contemplino quel Volto e siano  rimandati alla serietà dell’assunzione delle testimonianze che ci rimandano a Gesù e al punto interrogativo  che, questo Gesù, continua ad essere per ciascuna coscienza, per ciascun uomo.
Ma vorrei, desidero, ho l’auspicio che la contemplazione di quel Telo sia anche un’occasione per  ritornare a quello che chiamerei il “mistero del male”: non soltanto il problema del male, ma il mistero del  male. Noi siamo troppo abituati oramai, in una cultura segnata dallo sviluppo scientifico e tecnico, a pensare  che il male sia qualcosa che possiamo dominare totalmente. Con l’effetto qualche volta, proprio per lo  sviluppo scientifico e tecnico, di una spettacolarizzazione del male. Mi ha colpito moltissimo, mi ha ferito  perfino, l’altro giorno – di fronte all’ennesima uccisione di un afroamericano – vedere riportate con una certa  insistenza le immagini del soffocamento dell’altro afroamericano avvenuto qualche tempo fa. Io rabbrividivo  perché lì c’era una persona viva, che veniva uccisa, e noi oggi siamo abituati alla spettacolarizzazione del  male, anche della guerra. Mentre credo che il male rimanga un mistero, cioè qualche cosa che dovrebbe interrogarci sul perché ci sia, mentre non dovrebbe esserci. Ecco, l’auspicio è che dei giovani passando  davanti a quel Telo sindonico possano ritornare a pensare “a tutto tondo”. Non soltanto a pensare che cosa  fare per arginare il male, ma pensare in maniera più radicale sul perché esiste questo e sulla necessità che  abbiamo di essere liberati dal male.
Qualcuno dice che il pensiero più profondo nasca non soltanto dallo stupore, la meraviglia per ciò che  c’è, il thaumazein dei greci, ma anche per lo stupore per il male che c’è e non dovrebbe esserci. Ma, per certi  aspetti, da qui sorge anche la preghiera. Nel cristianesimo abbiamo questa bella preghiera – potremmo dire  la sintesi di tutte le preghiere – quella del Padre Nostro dove chiediamo: «Liberaci dal male». Ecco, l’auspicio  è che dei giovani, passando e contemplando quel Telo, possano ritornare sentire l’ustione di una domanda  che fa pensare, che ci fa riflessivi, e forse anche l’ustione della necessità della preghiera.
E il terzo auspicio che vorrei fare è questo: quel Telo porta un volto (ieri sera c’è stata la presentazione  della bellissima mostra «Volti nel Volto») e noi moderni siamo sempre abituati a guardare pensando che  l’atto fondamentale, di fronte a un volto, è ciò che facciamo noi, cioè guardare. Nella grande tradizione  teologica e spirituale del cristianesimo le cose funzionano al contrario. I grandi mistici, e anche teologi, dicono  che bisogna eliminare pensieri e anche immagini per contemplare davvero Dio. Che senso ha, allora, sostare  davanti a quel volto della Sindone o ai volti delle icone che la tradizione ortodossa conserva così bene? Non  tanto quello di guardare noi il volto, ma di essere guardati. Ecco, l’auspicio è che questi giovani, passando lì  in quella notte, possano percepire di essere guardati. Perché quando percepisci di essere guardato, in  qualche modo, percepisci di esistere e puoi percepire anche di essere amato.

Il meglio di Torino

Malgrado il gran caldo Torino e il suo territorio si impegnano al massimo per dare il meglio di sé, nell’accoglienza ai giovani dell’Incontro europeo di Taizé: la Città e la Regione Piemonte hanno messo a disposizione servizi e contributi per supportare la presenza dei giovani; la Commissione ecumenica subalpina e i Frères di Taizé hanno lavorato, con la diocesi di Torino, alla preparazione dell’Incontro: non solo per quanto riguarda gli aspetti organizzativi ma, molto più, nel creare quel «clima» che è al centro dell’esperienza di Taizé. Cioè la ricerca ostinata della fraternità, della conoscenza dell’altro, della «curiosità» per un’esperienza di vita anche ancora non conosciamo. Poi il «meglio del meglio» di Torino è l’adesione spontanea di tante famiglie e comunità che hanno detto sì alla richiesta di accogliere i ragazzi di Taizé nelle loro case…
L’Incontro a Torino venne annunciato nel dicembre 2019 a Breslavia, sede dell’ultimo celebrato; e avrebbe dovuto tenersi tra Natale e Capodanno del 2020. Le vicissitudini del contagio hanno fatto trascinare l’appuntamento fino a dicembre 2021, quando il priore di Taizé venne a Torino a pregare di fronte alla Sindone con l’arcivescovo Nosiglia. Ora la seconda e ultima tappa dell’Incontro torinese si celebra malgrado altre prove: erano attesi a Torino molti giovani provenienti dall’Est Europa, dove l’esperienza di Taizé è conosciuta, seguita e amata. Ma la guerra ha ridotto di molto la possibilità di viaggi per chi è impegnato su «fronti» ben più crudeli. Quei giovani ci «saranno» ugualmente a Torino, collegati via Internet (la Pastorale giovanile diocesana ha predisposto una copertura social per tutti i principali momenti dell’Incontro). Questi giorni di luglio portano alla luce e al compimento l’attesa, la «prova», la preparazione remota, fatta degli incontri di preghiera a San Dalmazzo e a San Filippo, cui hanno partecipato negli ultimi mesi non solo «quelli di Taizé» ma anche i tanti giovani e adulti torinesi che si sono lasciati coinvolgere nell’Incontro. Ora i giovani del «Pellegrinaggio di fiducia sulla Terra» trovano una serie di occasioni per scoprire la variegata realtà torinese: le «visite e riflessioni» del percorso toccano Valdocco e il Sermig, il Cottolengo e le strade di Frassati. Ma anche interrogativi sulla spiritualità, l’emarginazione, le tradizioni delle Chiese sorelle (in questo stesso numero del giornale il programma completo).
Altri percorsi riguardano la scoperta delle culture torinesi, dal Museo Egizio all’Accademia Albertina (dove una mostra su «i volti e il Volto» introduce anche al tema della Sindone). Per quattro giorni una tenda in piazza Castello è aperta per mostrare a tutti – tutti i torinesi – che cosa vuole essere l’esperienza dell’Incontro, e come tale esperienza va ad incrociarsi con le realtà della nostra vita quotidiana nel territorio torinese e piemontese.
Poi, la Sindone. L’arcidiocesi di Torino offrì, fin dal 2020, l’opportunità di un momento di contemplazione del Telo, riservato ai pellegrini di Taizé che fossero interessati. Un’offerta che ora si realizza la sera di sabato 9 luglio, come preludio a una «notte bianca» di incontri nel centro storico di Torino. Poter vedere da vicino la Sindone è un’esperienza comunque sconvolgente e coinvolgente, perché introduce il visitatore in una dimensione atroce come la morte ma anche ricca di ogni speranza: dalla Sindone, ci insegna il magistero recente dei Papi e dei Custodi, viene un richiamo forte all’amore, alla solidarietà, a quella vita che, a Pasqua, è impossibile trattenere in una tomba.
Marco Bonatti