Intervento dell’arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, mons. Roberto Repole,
alla conferenza stampa di presentazione dell’incontro mondiale di Taizè a Torino Torino, Sala Rossa del Comune, 7 luglio 2022
[Testo trascritto dalla registrazione audio]
Esprimo anch’io anzitutto un vivo senso di gratitudine ai fratelli e alla comunità di Taizè e agli altri fratelli cristiani. Penso che sia davvero molto bello e significativo che ci troviamo a fare un itinerario insieme. Perché le divisioni delle Chiese sono una smentita in atto di ciò che è la Chiesa. E, se abbiamo una responsabilità oggi, è proprio quella, invece, di contribuire alla pace e all’unificazione dell’umanità tanto più in un tempo come quello che stiamo vivendo, di cui già si diceva. Ringrazio don Luca Ramello e tutta la pastorale giovanile. E anche io un grazie del tutto particolare lo devo a monsignor Cesare Nosiglia, che ha organizzato e ha curato davvero la possibilità che si arrivasse qui, nonostante tutto, e che è stato il mio vescovo per tanti anni, quindi abbiamo un legame non soltanto di successione ma particolare. E un grazie alle istituzioni, per tutto il sostegno e la collaborazione che vengono dati e che sono stati dati in questi anni e in questi mesi.
Spendo due parole proprio sulla contemplazione della Sindone che avverrà sabato 9 luglio. Perché penso e mi auguro – questo è il mio auspicio – che sia un’occasione per i giovani che sosterranno in preghiera davanti a quel Telo di essere provocati in tre direzioni, che oggi mi paiono importanti.
La prima direzione è di rimettersi a contatto, potremmo dire, con qualcosa che richiama il Gesù della storia, che in qualche modo rappresenta e continua a rappresentare un appello per tutti. Perché quel Telo è molto significativo per noi cristiani? Perché ci sono delle analogie fortissime tra i racconti evangelici, tra ciò che c’è scritto nelle Scritture, e ciò che scritto è in quel Telo. Rimandano alla testimonianza di una vicenda. E penso che oggi per dei giovani – anche dei giovani europei in un’Europa che è stata cristiana ma che rischia di cristianizzarsi in maniera velocissima e vorticosa – il sostare davanti a quel Telo possa rappresentare un’opportunità per sapere che ci sono delle testimonianze che ci parlano di Gesù. Poi, di fronte a quel Gesù, si dovrà scegliere, ma rimane un appello. Mi colpisce molto che oggi, anche nelle nostre scuole, in nome di una sedicente cultura – che invece secondo me è un’ignoranza -si voglia qualche volta lasciar perdere la figura di Gesù e tutto ciò che ne è derivato, come se fosse un sottoprodotto della cultura. Non è così. Quindi mi pare che un primo auspicio che possiamo avere è quello che i giovani contemplino quel Volto e siano rimandati alla serietà dell’assunzione delle testimonianze che ci rimandano a Gesù e al punto interrogativo che, questo Gesù, continua ad essere per ciascuna coscienza, per ciascun uomo.
Ma vorrei, desidero, ho l’auspicio che la contemplazione di quel Telo sia anche un’occasione per ritornare a quello che chiamerei il “mistero del male”: non soltanto il problema del male, ma il mistero del male. Noi siamo troppo abituati oramai, in una cultura segnata dallo sviluppo scientifico e tecnico, a pensare che il male sia qualcosa che possiamo dominare totalmente. Con l’effetto qualche volta, proprio per lo sviluppo scientifico e tecnico, di una spettacolarizzazione del male. Mi ha colpito moltissimo, mi ha ferito perfino, l’altro giorno – di fronte all’ennesima uccisione di un afroamericano – vedere riportate con una certa insistenza le immagini del soffocamento dell’altro afroamericano avvenuto qualche tempo fa. Io rabbrividivo perché lì c’era una persona viva, che veniva uccisa, e noi oggi siamo abituati alla spettacolarizzazione del male, anche della guerra. Mentre credo che il male rimanga un mistero, cioè qualche cosa che dovrebbe interrogarci sul perché ci sia, mentre non dovrebbe esserci. Ecco, l’auspicio è che dei giovani passando davanti a quel Telo sindonico possano ritornare a pensare “a tutto tondo”. Non soltanto a pensare che cosa fare per arginare il male, ma pensare in maniera più radicale sul perché esiste questo e sulla necessità che abbiamo di essere liberati dal male.
Qualcuno dice che il pensiero più profondo nasca non soltanto dallo stupore, la meraviglia per ciò che c’è, il thaumazein dei greci, ma anche per lo stupore per il male che c’è e non dovrebbe esserci. Ma, per certi aspetti, da qui sorge anche la preghiera. Nel cristianesimo abbiamo questa bella preghiera – potremmo dire la sintesi di tutte le preghiere – quella del Padre Nostro dove chiediamo: «Liberaci dal male». Ecco, l’auspicio è che dei giovani, passando e contemplando quel Telo, possano ritornare sentire l’ustione di una domanda che fa pensare, che ci fa riflessivi, e forse anche l’ustione della necessità della preghiera.
E il terzo auspicio che vorrei fare è questo: quel Telo porta un volto (ieri sera c’è stata la presentazione della bellissima mostra «Volti nel Volto») e noi moderni siamo sempre abituati a guardare pensando che l’atto fondamentale, di fronte a un volto, è ciò che facciamo noi, cioè guardare. Nella grande tradizione teologica e spirituale del cristianesimo le cose funzionano al contrario. I grandi mistici, e anche teologi, dicono che bisogna eliminare pensieri e anche immagini per contemplare davvero Dio. Che senso ha, allora, sostare davanti a quel volto della Sindone o ai volti delle icone che la tradizione ortodossa conserva così bene? Non tanto quello di guardare noi il volto, ma di essere guardati. Ecco, l’auspicio è che questi giovani, passando lì in quella notte, possano percepire di essere guardati. Perché quando percepisci di essere guardato, in qualche modo, percepisci di esistere e puoi percepire anche di essere amato.