Il maestro che abbiamo amato

Pubblichiamo il testo dell’omelia di mons. Roberto Repole alla Messa di sepoltura di mons. Ghiberti, il 5 settembre scorso nella chiesa di Santa Rita. Il testo è stato trascritto dalla registrazione audio.

In un pregevole saggio della fine degli anni Ottanta, «Spirito e vita cristiana in Giovanni», fu don Giuseppe Ghiberti stesso a commentare questa commovente pagina evangelica. Pur essendo biblista affermato e noto, pur essendo maestro impareggiabile nell’esegesi di Giovanni, non si lasciò sfuggire, anzitutto, i tratti teneri e umani di questa scena. Diceva: c’è un giovane, condannato a morte, che vede sua madre e si preoccupa del destino di sua madre. 

Ma il professor Ghiberti coglieva, in quell’esegesi, che la sequenza delle scene di questa pagina evangelica era una sequenza tutta volta al futuro, al futuro del dono dello Spirito, al futuro della vita risorta di Cristo e dei credenti in Lui. Al centro campeggia quel Cristo morente che – diceva lui – viene spogliato di tutto e tuttavia, in realtà è Lui, il Signore, che si spoglia di tutto, volutamente, liberamente, anche della sua vita, per preparare il futuro che da quel dono di vita sta nascendo. Un futuro simboleggiato precisamente da quel reciproco abbandono del discepolo eletto alla madre e della madre al discepolo amato. 

Diceva don Giuseppe che da quel momento il discepolo amato prese Maria a casa sua, tra gli ídia, le “sue cose”, sarebbe meglio tradurlo le “sue realtà più care”. E, nello stesso tempo, il discepolo amato è afferrato e preso dalla madre, da Maria. Entrambi, in modi differenti, simboli della stessa Chiesa: da una parte la Chiesa che è madre e che genera alla fede e alla figliolanza divina, quella Chiesa madre di cui anche Maria è la prima discepola e tuttavia con un posto singolare, tanto da essere il simbolo di quella Chiesa, cosa che i Padri e gli autori medievali sapevano molto bene; e dall’altra parte la Chiesa che è simboleggiata dal discepolo amato, il credente, che non può essere tale se non perché c’è la madre.

Rileggendo in questi giorni queste pagine di don Ghiberti, mi sono detto che c’è qui tanto, tantissimo della sua vita. C’è il biblista, il professore, il maestro di Giovanni che con un acume particolare – lo sappiamo tutti, se lo abbiamo incontrato – sapeva scavare dentro quelle parole del Vangelo di Giovanni con un metodo storico-critico che aveva affinato, non soltanto negli anni della sua preparazione teologica, ma negli anni del suo studio ininterrotto, diuturno, fino alla fine. E tuttavia, e tuttavia, c’è il professore di Teologia che ha sempre usato di quella esegesi profonda e acuta per venerare più profondamente la Parola di Dio. Don Giuseppe era un cercatore, ininterrotto, incontentabile di quella Parola. 

C’è in questo commento la sua umanità. Se ha potuto cogliere quel tratto tenero del Figlio che si preoccupa del destino della mamma è perché una tenerezza c’era in lui, una tenerezza che voleva esprimere ovunque, con chiunque, in qualunque circostanza, e che lo ha reso amico di tantissime persone in tutta Italia e altrove. Ricordo con una certa commozione che mi fu detto, anni fa, che quando l’amico biblista [don Giuseppe] Segalla stava per morire a Padova, lui prese il treno e in giornata andò per salutarlo l’ultima volta. Quando ho sentito questo, mi sono sentito onorato di essere nella Chiesa di Torino e nel presbiterio di Torino.

Ma c’è in questo anche la sua capacità di vivere nel futuro aperto da questo Cristo che consegna tutto. Don Giuseppe è stato un credente fino in fondo nel Risorto, fino alla fine, tanto che anche negli ultimi tempi ha stabilito tutto, sapendo che ciò che stava stabilendo era la preparazione dei passi per incontrare il Risorto; non era la lucidità dell’intelligenza soltanto che lo faceva preparare così, era la lucidità della sua fede. 

Così come, in questa pagina e nel suo commento, ci sta il fatto che egli è stato catturato da quel Cristo che veniva spogliato, spogliandosi egli stesso della sua vita. Rileggendo quelle pagine di commento, mi sono detto che forse le ha potute scrivere perché tantissime volte lui, così appassionato della Sindone, ha letto questa pagina leggendo anche la Sindone. Ha curato tantissime Ostensioni – lo sappiamo – e una volta, a proposito di una di queste Ostensioni, raccontò del fatto che fu una grazia grandissima il poter stare tutte le mattine – quando ancora la Cattedrale era chiusa al pubblico – con lo sguardo fisso, da solo, davanti a questa Sindone; poi commentava: «Il Signore mi chiederà conto di questa grazia!». Io penso che oggi il Signore gli dia una carezza infinita, come ennesima grazia alla sua vita. 

E c’è, infine, in questo commento di tanti anni fa a questa pagina del Vangelo, tutta la sua passione per la Chiesa, che ha amato e di cui ha fatto parte. Egli sapeva di essere un figlio di questa Chiesa, un credente in questa Chiesa, un pastore a servizio di questa Chiesa. Mi piace pensare che oggi quel Signore lo accolga, che accanto a lui ci sia Maria la madre di Cristo, ma anche la sua mamma che amava così tanto, e dietro uno stuolo infinito di amici che ha conosciuto; e che da lì continui ad essere l’uomo che abbiamo amato, il prete che abbiamo apprezzato, il maestro impareggiabile che è stato per tutti noi.

+ Roberto Repole,
Arcivescovo di Torino

(trascrizione a cura di Lara Reale)

[ In ricordo di Mons. Ghiberti ]