Cinque anni con la Sindone


«Cinque anni» non sono tutta la storia della vicenda personale vissuta con la Sindone.  Qualcuno fa scoperte improvvise, altri procedono con progressione meno rapida e questo è il mio caso. Mia mamma mi ha parlato della Sindone; in seminario sono entrato un po’ di più nel problema; all’inizio dell’insegnamento venne l’occasione di scrivere qualche riga e questo diede occasione a un vecchio professore, divenuto anima del Centro Internazionale di Sindonologia, di accalappiare il vecchio studente, nel nome di un’amicizia che sembrava non attendere altro per rifiorire. Col Cardinale Ballestrero non riuscivo a capire se mi voleva dentro o fuori questa attività (o quale prete ci volesse impegnato). Una volta, nell’aprile del 1988, mentre stavo partendo per una trasmissione televisiva sulla Sindone, a Vienna, gli domandai che cosa avrei potuto rispondere alle eventuali domande sui tanto richiesti esami al C14. Mi rispose che potevo tranquillamente dire che la questione del C14 attendeva ancora una decisione. Qualche giorno dopo, leggendo i giornali, mi accorsi di essere stato preso bonariamente in giro: proprio in quei giorni avveniva il prelievo del campione sindonico per l’analisi radiocarbonica. Però non molti mesi dopo, nell’ultima udienza con l’amato arcivescovo, mi sentii dire che dovevo continuare a lavorare nel campo della problematica sindonica. Il suo successore mi coinvolse fin dall’inizio in tutto il lavoro per la Sindone: all’inizio si trattò di capire che cosa occorreva fare per raggiungere l’obiettivo primario della conservazione; poi venne la decisione delle ostensioni del 1998 e del 2000. Si incominciò a parlarne alla Festa della Sindone del 1995 (4 maggio), quando il Cardinale comunicò al Direttivo del Centro Internazionale di Sindonologia le decisioni del Papa; nella conferenza stampa del 5 settembre 1995 ne venne data informazione ai mass media; nei mesi immediatamente successivi si mise mano all’impostazione del programma organizzativo. Incominciò così il «quinquennio sindonico».

Ero tentato di dire il «mio» quinquennio, ma sarebbe stata puro nonsenso. Fu «nostro», fin dal principio. Il giorno precedente la conferenza stampa del settembre ’95 il Cardinale ricevette il sindaco di Torino e i presidenti di Regione e Provincia, che dichiararono la piena disponibilità alla collaborazione e la promessa venne fedelmente e cordialmente mantenuta. Incominciarono le adunanze, croce e delizia di tutti quei mesi. I numeri dei partecipanti si ingrandivano sempre più e presto si vide la necessità di articolare i gruppi, per studiare meglio i singoli problemi. Ogni volta intervenivano nuovi collaboratori e prese l’avvio l’appassionante avventura del volontariato.

Le direttive di impegno erano principalmente tre: la direttiva pastorale, i problemi tecnici, l’organizzazione della comunicazione, tutte assi complesse. Non c’era documentazione archivistica di quanto s’era fatto nell’ostensione del 1978, anche se qualcuno degli operatori di quella stagione continuava a intervenire: fu il caso in particolare del prof. Paolo Soardo per le luci e dell’architetto Maurizio Momo per tutto l’allestimento del Duomo. In sostanza però si incominciò da zero perché la collaborazione con gli Enti Pubblici permise di impostare il lavoro della comunicazione e dell’accoglienza su basi totalmente nuove.

Inoltre – drammaticamente nuovo – ci fu l’incendio dell’11-12 aprile 1997. Fin dal mattino del 12 fu chiaro che l’ostensione si sarebbe fatta, ma ognuno trepidava nella consapevolezza del rischio. Il Duomo sarebbe stato adibile?  Quanta parte di esso? Qualcuno diceva: pensiamo subito a un’altra sede: la chiesa di San Filippo, di Maria Ausiliatrice… Fu il Duomo, ma accorciato: si potevano usare la navata centrale e le laterali, ma solo fino al transetto, per non entrare nell’area sottostante la cupola. Non si potevano dunque usare la cappella del SS. Sacramento, il presbiterio e il vecchio organo; nemmeno la cappella sottostante il palco reale; nemmeno la sacrestia e i locali dei canonici.

Si ottenne allora il permesso di costruire un provvisorio che servisse da sacrestia e gli Studi Gambetti-Isola e Momo progettarono la “sacrestia nuova” in piazza San Giovanni, che permise di acquisire una serie di servizi, risultati poi provvidenziali. Prevedendo la visita di Papa Giovanni Paolo II, la sacrestia fu dotata anche di ascensore.

Ma perché si metteva in movimento una macchina così imponente; prima ancora, perché si voleva invitare un numero grande (si disse subito: il più grande possibile), di persone a “vedere” la Sindone? Occorreva la massima consapevolezza nel servizio che si stava avviando: che cos’è la Sindone, quali obiettivi ci proponiamo con l’ostensione?

La Sindone era in mezzo a noi da oltre 400 anni, ma noi avevamo ancora la stessa consapevolezza di essa? E se di nuova consapevolezza si trattava, ci permetteva essa di prendere un impegno organizzativo, e dunque finanziario, tanto imponente? La collaborazione nasceva su una base amplissima e si propose di distinguere tra le convinzioni personali e quelle comuni, in modo da trovare una piattaforma che supportasse gli obiettivi di tutti. Tutti vedevamo sulla Sindone un’immagine che rimanda alle sofferenze della passione di Gesù come le descrivono i vangeli. Ma non per tutti Gesù aveva lo stesso significato; dell’origine di quell’immagine poi le convinzioni potevano essere diverse. Ci dicemmo chiaramente quale fosse il pensiero della Chiesa sul senso di quell’immagine nella su avita e perché essa promuovesse l’ostensione: la Provvidenza ha posto questa realtà nella nostra esistenza perché la sua vista richiamasse in modo forte il messaggio del vangelo; nella convinzione che questa esperienza fosse salutare, si procedeva a renderla possibile a molti.

Su questo obiettivo potevano innestarsene altri, che fossero compatibili con esso. La presenza di pellegrini non sarebbe stata esclusiva: sarebbero venuti curiosi e incerti, uomini di scarso interesse per la fede, ma culturalmente coinvolti e curiosi, o persone comunque in ricerca. La città di Torino con la sua provincia e tutta la regione Piemonte, impegnandosi a offrire l’accoglienza più idonea, speravano anche di lasciare un buon ricordo nei visitatori, suggerendo loro di porsi alla scoperta di altri importanti ricchezze di fede e di arte presenti accanto alla Sindone. Si addivenne così alla realizzazione di un programma che era accettato da tutti come progetto al servizio dell’evangelizzazione, alla quale le componenti laiche davano una collaborazione non diretta, ma finalizzata a una buona accoglienza dei pellegrini e visitatori e a una buona presentazione della realtà torinese e piemontese.

Occorreva essere consapevoli di due grandi pericoli: quello della sovraesposizione dell’alleanza “civitas-ecclesia”. Il dialogo su questi punti,  con vicini e lontani, era assai vivace e non facile. La Chiesa ritiene che la Sindone è un segno particolarmente importante della sofferenza e dell’amore di Gesù. I cuori si accendono alla sua vista e alla sua vicinanza. Da una parte non si poteva aderire alla richiesta di chi voleva che ci fosse una dichiarazione di sicurezza totale dell’“autenticità” della Sindone. Solo la scienza come poi ribadì il Papa- può pronunciarsi (quando ne abbia i dati: non è ancora la situazione di oggi) sul fatto che la Sindone abbia o no 2000 anni di vita e che l’immagine si sia formata o meno per il contatto del lenzuolo con il cadavere di Gesù deposto dalla croce. Dall’altra parte però era ancora meno accettabile la pretesa di chi voleva che si rinunciasse ad invitare i pellegrini, per non dare un oggetto ritenuto discutibile (se non “falso”) un valore che non ha.  Non si poteva neppure dare seguito a paure e accuse di collisioni indebite tra autorità religiose e civili. Furono spesi, certo, anche soldi della comunità, ma per servizi di informazione e di accoglienza. Gli Enti Pubblici non operarono mai pressioni di alcun genere per interessi propagandistici e lasciarono sempre che la direzione ideale dell’impresa fosse tenuta dalla Diocesi; la Diocesi non coinvolse mai gli Enti Pubblici in ciò che accadeva direttamente in Duomo. Però ci furono naturalmente momenti comuni di intensa emozione, come nell’incontro del Comitato poco prima dell’inizio dell’ostensione del 1998. A un certo punto l’adunanza fu interrotta e tutto il gruppo si recò nella vicina “sacrestia nuova”, dove la dottoressa Flury Lemberg stava preparando la Sindone sul carrello della teca dell’ostensione. All’improvviso fu silenzio totale e le poche parole di spiegazione sfociarono nella preghiera di tutti.  Qualcuno, a mesi di distanza, ricordava: “Io non credo da tanti anni, ma quel lenzuolo ha un senso che val bene tanta fatica”. 

1998

Il 1998 era un anno ricco di date storiche. 1600 anni prima si era tenuto a Torino un sinodo o concilio locale, che aveva interessato diocesi della Gallia Cisalpina e Transalpina. Era vescovo allora S. Massimo, il primo di cui si conservi ricordo documentario. Valeva la pena farne memoria in un convegno di studi. Un altro convegno fu dedicato ai 500 anni del Duomo, quello che allora era chiamato il “nuovo” Duomo, voluto e finanziato dal primo arcivescovo Della Rovere e progettato da Meo Caprina. Ma ogni mese dall’inizio d’anno al termine dell’ostensione registrò un impegno culturale: a gennaio la Fondazione Agnelli offrì alla cittadinanza un convegno su Sindone e città; febbraio vide il congresso su San Massimo e il concilio di Torino;  marzo quello sui 500 anni del Duomo; aprile un convegno sulla “teologia del Sabato Santo”. Il mese di maggio si concentrò nella preparazione della visita del Papa, che avvenne il 24 maggio. A giugno si tenne il grande congresso internazionale di sindonologia.

L’ultimo ebbe una partecipazione nutrita di studiosi provenienti da tutto il mondo e servì a verificare i risultati raggiunti dagli studi sindonici dopo il momento critico degli esami del Carbonio 14. Fu registrato un grande impegno e molta passione, ma pochissime novità. Per questo motivo, in un confronto con il Cardinale Saldarini, maturò il suggerimento di non promuovere più –per la prossima ostensione­ iniziative aperte a una partecipazione indiscriminata, per favorire maggiormente la riflessione e il confronto tra ricercatori impegnati direttamente nel campo sindonico.  da questa decisione nacque il simposio 2000.

La preparazione dell’ostensione registrò ancora un doppio impegno in ambito diocesano: quello della sensibilizzazione delle parrocchie e quello dell’avviamento dei volontari.

Nelle parrocchie si era già iniziata da qualche anno la “settimana della Sindone”. Nella vicinanza dell’ostensione crebbe il numero delle richieste e alcune copie fotografiche della Sindone erano continuamente in viaggio per aiutare la preghiera, l’informazione scientifica e l’impegno spirituale di tanti adulti e bambini. Questa proposta fece molta strada, uscendo dai confini diocesani. I nostri conferenzieri erano continuamente in movimento, così come anche altri gruppi di apostolato sindonico, specialmente romani, si impegnavano senza risparmio.

Per i volontari si incontravano il problema organizzativo e formativo. Partendo dalle esigenze, si distinsero i volontari del servizio d’ordine (per il cammino del pellegrino e per il Duomo), i volontari dell’accoglienza, che si dividevano il lavoro nell’aiutare i malati e i disabili, oppure chi era in ricerca di sistemazione oppure ancora chi girava in visita alle chiese. C’erano poi i volontari della scuola, che offrivano lezioni sulla problematica sindonica nelle nostre scuole e i volontari della segreteria, che si tenevano pronti per ogni evenienza.

A tutti si cercò di dare un minimo di informazione comune, insieme alle informazioni riguardanti i singoli impegni. Furono piccoli corsi che richiesero un certo lavoro, perché i numeri erano sempre elevati. Parlare di una cifra globale di 3000 volontari non fu enfatico, perché la risposta alla richiesta di aiuto fu veramente generosa. E fu sempre disponibilità entusiasta e dimentica di sé. I primi a beneficiarne furono proprio i responsabili, che si sentivano sostenuti da una corrente di amore.

L’arrivo dell’ostensione era atteso con molta apprensione. Il fatto organizzativo era assai complesso e qualche voce amica manifestava preoccupazione: non può riuscire. E sì che non tutte le difficoltà erano note. C’era poi il pensiero del messaggio da comunicare ai pellegrini: chi sa se l’invito sarebbe stato recepito nel modo giusto?

La Sindone doveva essere esposta attraverso un contenitore particolare, una teca, studiata in modo da presentarla in verticale e poi di conservarla in posizione orizzontale nei tempi di non esposizione. Il contenitore doveva essere di acciaio, tranne che nella facciata rivolta ai pellegrini, dove occorreva il vetro. La camera di contenimento doveva essere riempita di gas neutro e quindi non correre rischi di perdite. La ditta Bodino lavorava con impegno e incontrava continui intralci. Quando fu pronto il lettino su cui la Sindone doveva essere stesa, lo si preparò nella “sacrestia nuova”. Il mattino di mercoledì 15 aprile, molto presto, giunse la Sindone che era conservata in un luogo nascosto. Incominciava il lavoro della dottoress-a Mechthild Flury Lemberg, grande esperta di trattamento e conservazione di tessuti antichi. Contemporaneamente incominciava la preghiera vicino a quel lenzuolo che parla della sofferenza di Gesù: turni di volontari riempivano i tempi di sospensione del lavoro. Poco per volta fu revisionato tutto il sistema di cuciture attorno alla Sindone che fu liberata il più possibile di quanto si era aggiunto successivamente al lavoro delle suore clarisse di Chambery nel 1534. Fu così adagiata sul mollettone (strato di spessa tela morbida di cotone) che la separava dal metallo della superficie del lettino.

Le giornate dell’ostensione si susseguirono senza grandi mutamenti, con un ritmo che pareva accelerarsi col passare dei giorni. Preghiera delle lodi e celebrazione eucaristica verso le 7 del mattino e poi passaggio dei pellegrini, più intenso sabato e domenica, più calmo nei giorni feriali. Arrivarono molte persone semplici, a volte anche celebrità; si riuscì però a salvare quasi sempre la discrezione e il raccoglimento. Le visite più belle furono indubbiamente quelle del Papa e del Presidente della Repubblica Italiana. L’on. Oscar Luigi Scalfaro intervenne all’apertura del Congresso Internazionale di Sindonologia e poi volle percorrere il cammino del pellegrino assieme alla figlia Marianna e a un piccolo seguito. Il Papa venne atteso per una giornata di visita che doveva comprendere, durante la celebrazione eucaristica del mattino, in piazza Vittorio Veneto, la proclamazione di tre Beati piemontesi e al pomeriggio la visita alla Sindone.

Giuseppe Ghiberti

[ In ricordo di Mons. Ghiberti ]