L’IMMAGINE DI DIO NELLA BIBBIA

La storia dei discepoli comincia in seguito al fatto che Gesù li vede; “Passando lungo il mare della Galilea vide Simone e Andrea…” (Mc 1,16). I discepoli vedono Gesù operare tra le folle, lo seguono, e vedono Lui, il Signore, guarire i malati e perdonare i peccatori.

Testimoni della sua gloria

I discepoli sono testimoni oculari della venuta del Regno: Pietro, Giacomo e Giovanni sono scelti da Gesù per stargli accanto affinché vedano la figlia di Giairo alzarsi e tornare a camminare.
Vedranno su Tabor la luce gloriosa del Signore Gesù. Tutto il racconto evangelico vuole quasi dirci che vedere non è un optional per l’uomo che vuole riconoscere in Gesù il Signore.

La fede di chi ha veduto

Gesù, profondo conoscitore degli uomini e del loro animo, mette “in vista” (nel senso che si dà a vedere) la sua opera di salvezza.
È Gesù ad insegnarci una sapiente pedagogia del vedere; istruisce i discepoli invitandoli a guardarsi attorno: “Vedete i gigli dei campi… eppure io vi dico… (Mt 6,28).
Dal vedere nasce la fede. “Visto ciò che era accaduto, il centurione glorificava Dio: “Veramente quest’uomo era giusto” (Lc 23, 47).
Proprio la capacità di vedere rende profonda la differenza fra Erode e i magi; il primo li manda avanti: “Andate e, se lo troverete, verrò a vedere anch’io”. Erode attende notizie prima di recarsi lui stesso a vedere. I magi vanno e vedono.

L’annuncio di “colui che abbiamo visto”

I testi di origine liturgica, risalenti alla chiesa primitiva del II secolo, parlano di Gesù risorto usando l’espressione “è stato visto”.
L’apparizione è l’evento in cui si fonda la fede dei discepoli, in grado di dire: “Egli è veramente il Signore Vivente”.
L’apparizione è anche l’incarico affidato ai testimoni: annunciare a tutti che Gesù, il Figlio di Dio, è morto e risorto.

In attesa della visione piena

Giovanni usa il linguaggio delle apparizioni per esprimere la presenza permanente e attuale del Signore presso i suoi: “Voi mi vedrete” (Gv 14, 19). Gesù non è più di questo mondo, ma i discepoli lo vedranno vivo, resuscitato, in una visione che, oltre ad essere sensibile, dovrà necessariamente essere anche spirituale, nella fede.

Il già della visione nei sacramenti

Nella liturgia noi, oggi, qui, abbiamo l’occasione di VEDERE la salvezza, fattasi segno nel sacramento.
Ecco il senso ultimo dell’evento sacramentale: l’offrirsi dell’amore misericordioso del Padre in segno tangibile.
Noi vediamo sull’altare pane e vino, guardiamo l’acqua scendere sul catecumeno, scorgiamo con occhi attenti il segno dell’olio sul cresimando…
Nel momento in cui il centurione avanza la sua professione di fede chiama Gesù “Figlio di Dio” (Mc 15, 39) e non soltanto “Maestro”.
Nella liturgia incontriamo il Signore Gesù e, come i discepoli di Emmaus, dobbiamo saperlo riconoscere nei segni e nelle parole.
Giovanni dice bene il loro disagio iniziale: “Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo (24,16)”.
Ogni celebrazione liturgica ci invita a cantare il salmo 34,9: “Gustate e vedete quanto è buono il Signore”.